La donna nella società contemporanea
Dall’epoca delle suffragette, passando per i movimenti femministi degli anni Settanta, ad oggi tanti sono i passi fatti sulla strada dell’autodeterminazione delle donne.
Ma ancora oggi, nel 2023, nonostante tutte le battaglie vinte e i diritti riconosciuti, tanta è ancora la strada da percorrere verso il riconoscimento pieno della parità tra i generi in tutto il mondo, tanto che si è sentita l’esigenza di inserire nell’Agenda 2030 dell’Onu l’obiettivo 5: Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze.
Questo perché, in tutte le società ed in alcune ancor di più, la donna è ancora considerata un oggetto di proprietà maschile, tanto che la violenza familiare è tra le principali cause di menomazione o di morte delle donne.
Anche in Italia, seppur meno tragicamente che in altri Paesi oggi alla ribalta delle cronache come l’Iran, la situazione della donna continua ad essere problematica, con chiare ed evidenti differenze di trattamento sia nel mondo lavorativo, sia nel mondo rappresentativo che in quello familiare.
Il problema è culturale e politico.
In una società dove ancora se ad una bambina non piace la matematica ci si passa sopra e ci si consola con il pensiero “le piacerà leggere”, mentre se avviene il contrario al bimbo viene detto: “Come non ti piace, da grande ti servirà”; dove ancora il lavoro familiare e quello di cura ricade interamente sulla donna, come se accudire chi ha bisogno o i componenti familiari sia un dovere solo femminile e non di tutti (in primis , dello Stato); una società dove, nonostante l’art. 3 della Costituzione sancisca che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, si abbia l’esigenza di stabilire delle quote rosa, di certo qualcosa non va per il verso giusto.
D’altronde, come si può pretendere che la politica sviluppi un sistema egualitario dal momento che nel mondo della rappresentanza – grazie anche ad un sistema elettorale che consente ai partiti di scegliere chi avrà più chance di essere eletto – la maggioranza è formata da uomini?
Mi si potrebbe obiettare che questo è un falso problema tanto che attualmente il nostro premier è donna. Ma solo perché non si sa che solo un quarto dei parlamentari appartiene al genere femminile. Una scarsa partecipazione delle donne in politica continua a consentire uno sviluppo non democratico del processo decisionale, perché ciò che riguarda i problemi di tutti viene deciso da pochi, per un controllo monopolistico del potere e delle persone che contano.
La libertà e l’autodeterminazione della donna passano attraverso tutte quelle norme che consentono parità nell’accesso alle carriere, professionali e politiche.
Non basta fissare delle percentuali per far cambiare culturalmente una società. Bisogna cambiare, come dice la professoressa Chiara Saraceno, i livelli di socializzazione e rendere “visibili” le donne a parità di prestazione.
I tempi familiari di certo giocano un ruolo importante in molte carriere perché è la donna che rimane gravida e deve necessariamente rimanere di più a casa sottraendo tempo all’impegno lavorativo; ma tutto questo grava sulla carriera della donna non dell’uomo.
In un paese in cui durante il colloquio lavorativo alle donne viene ancora domandato lo stato civile e se si ha intenzione di avere una famiglia, come ci si può stupire del decremento demografico?
Questo perché, e si ritorna al punto di prima, il lavoro non retribuito di cura familiare è di default addossato alle donne.
È pur vero che oggi la famiglia è cambiata e ci sono diversi giovani padri che si prendono cura della prole per piacere e non per dovere; ma allo stesso tempo, il congedo parentale per i padri è limitato ad un periodo molto breve ed è retribuito meno rispetto a quello della madre. Così come non è riconosciuto il bonus babysitter alle madri che scelgono il c.d. lavoro agile perché si pensa che il fatto che la figura femminile sia a casa si debba automaticamente sovraccaricare nello stesso momento e in modo continuo del ruolo di lavoratrice, madre, moglie e addetta ai lavori di casa. C’è stato un aumento di padri più presenti e più partecipi, ma resta comunque un 40-60% che nonostante resti a casa non se ne preoccupi.
La chiave di tutto sta nel cambiare la considerazione del lavoro di cura non retribuito, come già avviene in alcuni paesi europei. Come sostiene la professoressa Saraceno, grande studiosa della parità di genere e della famiglia, “nei paesi in cui c’è meno disparità nel mondo del lavoro retribuito ce n’è meno anche in quello non retribuito, fenomeno individuabile anche nella storia e in certi contesti dell’Italia. Una parte di questa riduzione è dovuta sia ad una maggiore partecipazione maschile, dove ad esempio sono previsti congedi anche per la paternità, ma anche l’accessibilità di più servizi. Essendoci più donne nel mondo del lavoro ci sono più asili nido, scuole e servizi di mercato come le lavanderie, e sono anche più accessibili perché usati da più persone”.
Guardando ciò che sta succedendo anche in alcuni Stati a noi vicini, si veda l’abolizione del diritto all’aborto in Polonia, e quello che subdolamente stanno provando a fare anche in Italia, concludo dicendo che non serve a niente piangersi addosso ma, se non vogliamo correre il rischio di tornare indietro e di avere qualcuno che ci dice come ci dobbiamo comportare e cosa dobbiamo fare, abbiamo l’obbligo di rimanere vigili senza mai dare per scontata la libertà e l’autodeterminazione finora conquistate.
“Il problema non sono le quote rosa, ma quelle blu”. Chiara Saraceno
Monica Cecere