Rubrica: Intrecci culturali. Chiave dell’identità siciliana?
La Multiculturalità
Studiando la toponomastica ho scoperto che in Sicilia i nomi delle contrade cambiano di palmo a palmo (proprio come l’espressione idiomatica siciliana che la terra si canusci e cancia di parmu a parmu), ed inoltre che il novanta per cento della toponomastica siciliana è di origine islamica.
Questo ha una diretta conseguenza su quello che è il secondo aspetto fondamenale dell’Identità Siciliana, la multiculturalità. Questa non è soltanto una multiculturalità di tipo antropica, anche per via dell’apporto dei saperi provenienti da tanto lontano, ma è anche e per estensione una multiculturalità che ci proviene dall’enorme biodiversità che ritroviamo in Sicilia, una biodiversità di tipo minerale, vegetale, animale, marina terrestre in genere , che unita a quella antropica e antropologica portò dicevamo ad un fatto nuovo, alla formazione, per via soprattutto anche di questo enorme rimescolamento genetico, di un nuovo popolo il cosiddetto popolo siqillyano, poi siciliano.
Per me identità siciliana è proprio questo, riuscire a creare un amalgama contro tutto e contro tutti; quale altro popolo, e quale altra terra ha subito una delle situazioni così agghiaccianti, di una grecità praticamente scomparsa per via di questione di potere e così come abbiamo dimostrato come è avvenuto con l’apporto islamico, completamente oscurato dalla storiografia scritta dai vincitori.
Parlando di multiculturalità, l’essere al centro del mediterraneo ha comportato questo continuo innesto di culture e popoli, però in Sicilia si è verificato qualcosa di diverso rispetto ad altre zone dove sempre è normale che l’incontro scontro fra culture diverse generi attriti e tensioni laceranti.
Al profondo amalgama di popoli e culture la Sicilia ha reagito ed interagito nell’unico modo possibile cioè quello di non farsi annientare mai dalle avversità, di prendere riuscendo a rinascere, quello cioè di “morire senza morire”. A tal proposito desidero offrirvi un esempio mutuato proprio dal mondo dell’agricoltura quello dell’ulivo saraceno.
Grande è stata la mia gioia e il mio stupore quando ho appreso la tecnica di come si “forma” un ulivo “saraceno”, si prendono quattro, sei, otto piantine o bacchette di olivo, anticamente non esistevano i vivai come li conosciamo oggi ma per riprodurre gli olivi si prendevano gli stessi polloni che producono le piante vecchie come gli ulivi secolari, e si mettevano a dimora sul terreno e si innestavamo secondo le varietà che si desideravano riprodurre.
Però nel metterli a dimora si mettevano vicini a due a due, o anche a tre a tre, o a quattro a quattro, e ognuno di questi “gruppi” veniva distanziato di due metri, poi man mano che i giovani virgulti crescevano, questi astoni si legavano attorcigliandoli fra loro, sia a due a due, a volte anche tre per volta. Facendo questo si verifica un fenomeno sfruttato da questa tecnica che si chiama, in termine tecnico anastomosi, però a me piace sempre usare il termine siciliano cioè cuttumanza: nei fusti degli alberi aderendo fra loro in maniera obbligata, forzata, la corteccia si fonde, si incuttuma e gli alberi si legano fra loro in un abbraccio indissolubile per sempre, per l’eternità.
Perché si ricorre a questa tecnica? Perché ogni pianta è un mondo a sé come un essere umano, ognuno di noi è un unicum, è un sé, poi nel modo di legarci così strettamente nella vita ognuno di noi è portato a dare il meglio di sé e a diluire quello che sono i nostri difetti, è un tecnica per essere chiari, per rafforzare la pianta di ulivo cioè per renderla forte e vigorosa e per renderla produttiva al massimo; in più è una tecnica di rara bellezza perché l’albero di ulivo che ne risulta , man mano che cresce si attorciglia su se stesso, si aggroviglia in un modo particolare, e in questo unirsi assume una forma che non è dovuta al vento come molti pensano, in questo fondersi in un abbraccio eterno ripeto assume certe forme che sono di una bellezza appunto rara. Se la pianta ha infatti la fortuna di crescere indisturbata, se non viene attaccata dal fuoco e non viene sradicata dall’uomo, tende a legarsi sempre più e infatti ci sono certi alberi di ulivo che formano dei tronchi così belli da sembrare delle sculture e che fanno paesaggio.
Paolo Valentini