Il vecchio inutile
Dall’era pre-industriale ad oggi. Dalla famiglia patriarcale a quella nucleare
La famiglia può essere definita come un microsistema presente in tutte le società, così importante da condizionare fortemente lo sviluppo complessivo di ogni collettività e da promuovere la

socializzazione primaria dell’individuo intesa soprattutto come trasmissione della cultura da una generazione alla successiva.
Nel corso dei secoli questa struttura sociale di base si è trasformata ed ha assunto aspetti differenti e con lei i ruoli svolti dai suoi appartenenti. Tra questi, la figura che ha subito una maggiore alterazione e marginalizzazione del ruolo è quella del “vecchio”, soprattutto nelle società industrializzate.
Se, infatti, nelle società pre-industriali – ma ancora in Italia fino agli anni ’60, cioè fino al boom economico, ed ancora oggi in alcune parti del mondo è così – il vecchio rappresentava il pilastro portante della famiglia (e dunque della società) considerato il più saggio e rispettato perché dotato di maggiore esperienza, nelle società industriali e post-industriali di oggi, in cui i ritmi di vita sono forzati e i cambiamenti tecnologici sono frenetici e continui, il ruolo dell’anziano è relegato in un angolo, non più considerato fonte di saggezza ma un peso socio-economico. La percezione di inutilità sociale produce nelle persone in età senile un aumento brusco di stress e depressione.
Questo stato è aggravato, come accennato sopra, dal cambiamento della struttura stessa della famiglia. Si è passati da quella patriarcale o estesa a quella nucleare. Nella prima coabitavano più generazioni e il più vecchio aveva un ruolo preminente nella gestione della famiglia. Tutti collaboravano e si supportavano reciprocamente: gli uomini nei campi o nella bottega di famiglia; le donne erano impegnate nei lavori di cura.
Nella seconda, la famiglia si riduce a genitori e figli. I vecchi non vivono più con i giovani e vengono considerati “un peso” e non una risorsa. Spesso vivono da soli in case fatiscenti, senza più rapporti umani, perché la società attuale non offre servizi alla terza età: né luoghi d’incontro, né opere di cura della casa e personali; né assistenza socio-sanitaria e psicologica. Spesso vengono “parcheggiati” in strutture inefficienti, con personale non qualificato, nate solo per speculare e incapaci di trasmettere quel calore di cui ogni essere vivente ha bisogno.
Queste strutture di “accoglienza ed assistenza” per gli anziani, che di certo rappresentano un grande aiuto per le famiglie, sempre più costrette da tempi e spazi ridotti, devono però essere adeguate e orientate ad aiutare la persona anziana a vivere con serenità e fiducia la propria età. Devono guidare l’anziano, attraverso la cura del corpo e adeguati stimoli mentali, ad un equilibrio psico-fisico utile a sollevarli da possibili sofferenze attraverso un approccio costruito nel tempo e fatto su misura su ogni singola persona.
Marco Briguglio