I vecchi? Né meri numeri, né scarto!
Ci si abitua a tutto. Solo questione di tempo. Ma questa regola non vale sempre per tutti, fortunatamente. Ed ogni tanto bisogna pure non accettare quello che ascoltiamo o che magari viviamo in prima persona. Tanti di noi si sono ritrovati ad assistere genitori anziani, nonni malati, curarli ed accudirli con amore e dovizia, e sentirsi dire, anche da professionisti, personale qualificato, sanitari, che “tanto sono anziani”, vecchi, e “c’è poco da fare” per loro. A tal proposito è qualcosa di stucchevole quanto dichiarato dal professore Roberto Bernabei, Ordinario di Medicina Interna e Geriatria dell’Università Cattolica durante la trasmissione Re-start su Rai 1, il 31 ottobre scorso: “Oggi in Italia ci sono 805mila ultranovantenni. Di questi quasi 600mila sono donne ultranovantenni, la metà della quali sono dementi. I letti nelle Rsa in Italia sono 315mila. Fatevi due conti. Vista la denatalità queste donne sole e dementi possono solo aumentare. Il rischio eutanasia è quello che pavento fortissimo, perché è veramente complicato sostenere questi costi e cercare di mantenere queste povere Rsa a livello migliore”.
Il professore dichiara pubblicamente quello che molti altri, pervasi più da logiche manageriali (non più primari ma direttori), politiche piuttosto che mediche, affermano spudoratamente de visu. Il problema, in questo caso, viene comunicato come economico piuttosto che medico e la soluzione paventata (e forse dichiarata, chissà!) è quella dell’eutanasia piuttosto che l’investire nei posti letto, nell’assistenza, nella sanità. Insomma, questi vecchi, i nostri vecchi sono considerati sovente come numeri, scarti e non come esseri viventi.
La domanda di eutanasia in questo caso – a mio avviso – appare come figlia dell’abbandono terapeutico ma anche sociale dell’anziano ed è impensabile ed inaccettabile che il nostro paese, una nazione civile, si possa dimenticare dei suoi vecchi.
Dobbiamo prenderci cura l’uno dell’altro, non essere complici della morte. La sfida è certamente racchiusa nel “prendersi cura” delle persone con un atteggiamento di “prossimità responsabile”.
Come sostiene mons. Paglia: “La vera questione è di morire con dignità, non di anticipare la morte”.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) oltre il 95% dei decessi registrati in Europa a causa del nuovo coronavirus ha riguardato persone di età superiore ai 60 anni. A subire le conseguenze peggiori sono soprattutto soggetti anziani fragili, già fisiologicamente compromessi per la coesistenza di patologie pregresse quali il diabete, l’ipertensione e le malattie cardiovascolari.
Non è da escludere che l’attenzione agli anziani abbia generato un certo risentimento nei giovani e nelle categorie sociali più trascurate negli ultimi mesi, acutizzando il gap generazionale. Secondo una ricerca del Censis, oggi in Italia il 49,3% dei millennials (i nati tra il 1980 e il 1995) ritiene giusto dare priorità ai giovani nelle situazioni di emergenza, mentre il 35% è convinto che la quota di spesa pubblica dedicata alla terza età sia troppo ampia.
Nelle società contemporanee, informate dal mito della giovinezza e dallo stigma della vecchiaia, i vecchi sono considerati lenti, incapaci, inefficienti, mancanti. La condizione anziana viene quasi negata da una società a impronta giovanilistica con una forma di spregio mass mediatico dell’immagine anziana, ridotta a caricatura fuorviante e discriminante, o peggio a sole immagini deteriori.
Questa è solo la riproposizione più recente di un fenomeno conosciuto come “ageismo”, termine coniato nel 1969 dal gerontologo Robert Neil Butler per indicare l’insieme dei pregiudizi, degli stereotipi e delle discriminazioni basati sull’età.
D’altra parte, gli over 65 in pensione e in salute continuano ad assolvere importanti funzioni produttive e sociali, per esempio attraverso il sostegno economico ai figli, l’assistenza ai nipoti, il lavoro non retribuito, il volontariato.
Lo storico Alessandro Barbero, in una recente intervista ha dichiarato: “Fin dagli anni Cinquanta, gli scrittori di fantascienza americani hanno cominciato a immaginare un futuro nel quale l’uomo sarebbe stato messo di fronte a una scelta crudele: uccidere gli anziani, troppo costosi da mantenere, per salvare il sistema. In effetti, questo è l’incubo della nostra società. E non mi sorprende che, in questa circostanza, il tema emerga. L’astratta ragione economica, di fronte alla decimazione dei vecchi, potrebbe dire: Bene, d’ora in poi avremo un costo in meno da sostenere. La ragione umana, invece, non può prendere in considerazione una conclusione del genere. Poiché dice: Non è l’uomo che deve essere messo al servizio dell’economia, ma l’economia al servizio dell’uomo”.
Infine, Papa Francesco ha più volte preso le difese della terza età, contro la cultura dello scarto. E visitando una casa per anziani, usò parole chiare e profetiche: “La qualità di una società, vorrei dire di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune”.
Francesco Cicerone