Tutto parte dagli Usa, diffusosi ovunque è subito divenuto inarrestabile: The Great Resignation ovvero il fenomeno delle dimissioni di massa dal posto di lavoro. Ben 25 milioni nel mondo durante il 2021.
In Italia, stando alle rilevazioni ministeriali, le cessazioni richieste dal lavoratore sono state 2 milioni 45mila nel 2021, contro il milione e mezzo registrato dell’anno precedente, con un incremento del 30,6 per cento (più 479 mila), una cifra che ha rappresentato il 19,3 per cento di tutti i rapporti di lavoro interrotti. Più uomini (35,1%) che donne (24,6%). Dati che si riferiscono naturalmente ai contratti a tempo indeterminato.
Nel primo trimestre del 2022, sempre in Italia, – secondo alcuni dati INPS – hanno dato le dimissioni dal lavoro 306.710 mila persone. L’aumento è del 35% rispetto al 2021. Rispetto al 2019, l’ultimo anno senza Covid, c’è stato un aumento del 30% degli addii, per la maggior parte senza rimpianti.
Non sono solo i giovani a dimettersi, insomma, e pure sul fronte del titolo di studio i laureati superano solo di poco i diplomati. Viene fuori che a lasciare il lavoro sono soprattutto uomini e che non ci sono enormi differenze rispetto all’età, anche se gli over 50 sono al primo posto.
Fenomeno questo certamente indotto e accelerato dalla pandemia e da nuove aspettative di vita, dall’insoddisfazione personale e lavorativa.
Grazie anche alla diffusione dello smart working, che ha permesso e permette di lavorare da qualsiasi posto nel mondo, molte persone sono rientrate al Sud per il lockdown. E non hanno più voluto tornare in ufficio a osservare orari rigidi e a timbrare cartellini.
Non sentendosi realizzati o valorizzati non hanno perso tempo e, dopo un panico iniziale, si sono decisi a mollare tutto per dedicarsi a mestieri magari meno remunerativi ma più gratificanti dal punto di vista umano o che permettono loro di passare del tempo all’aria aperta.
Alla ricerca di maggiore equilibrio e flessibilità. “Era prevedibile che accadesse, perché c’è sempre di più uno scollamento tra le esigenze dell’individuo e le risposte del lavoro”, ha dichiarato nei mesi scorsi il Professore Domenico De Masi.
Il posto fisso non rappresenta più il grande sogno. Tanti si sono messi in proprio. Hanno cambiato settore. Alcuni hanno cambiato persino residenza, casa, abitudini, si sono avvicinati alla natura, alla campagna, alla terra, ad un vivere più sano e consapevole. Hanno cominciato a fare l’orto, a coltivare, rallentato i ritmi di vita, cercando un maggiore benessere psichico e fisico. Certamente una svolta epocale.
Tante le storie che potremmo raccontare. Lasciare e ricominciare non è mai semplice. Chi ci rinuncia lo fa per un progetto magari più incerto, una scommessa per migliorare la qualità della vita e del proprio tempo. Chi lo fa è disponibile a rinunciare anche a un pezzo di salario se in cambio migliora l’ambiente di lavoro e la soddisfazione personale e se ha maggiore libertà, autonomia e tempo per sé.
Francesco Cicerone