Rubrica: Intrecci culturali. Chiave dell’identità siciliana?
Prime Riflessioni: Chi siamo noi Siciliani?
Oggi che cos’è l’Identità Siciliana e come si lega a questi intrecci?
L’identità Siciliana, a mio avviso è precisa, esiste e la riconoscono soprattutto gli altri. Posso riportare l’esempio del giornale francese Le Figarò uscito in edicola il 25 settembre 2020con un numero monografico dedicato alla Sicilia, terra meravigliosa e di rara bellezza, qualificata in prima pagina di rivista con la connotazione Eternelle.
Cosa vedono dunque gli altri in noi, e a proposito di questa identità cosa ci riconoscono?
Volendo partire da una definizione o se si preferisce da un approccio scientifico, l’Identità Siciliana è innanzitutto connotata dalla nostra lingua, il Siciliano.
Certo ci esprimiamo in Italiano oggi, correntemente, ma questo è dovuto a motivazioni storiche, un passato che non passa, perché è da quando facciamo parte dello stato unitario italiano che ci è stata imposta la lingua italiana come lingua ufficiale, ma non è qui il caso di dilungarsi su ciò, invece occorre chiedersi, ma quanto la nostra lingua viene adoperata fluentemente ancora oggi? E insieme alla lingua tutta la cultura ad essa annessa e intendo anche e soprattutto la nostra letteratura in siciliano. E volendo riflettere, il termine cultura così come il participio passato Culto, vengono dall’etimo latino del verbo còlere che significa coltivare.
Il linguaggio ricordava Heidegger è la casa dell’Essere e con la stessa forza e immediatezza tipiche della lingua siciliana si comunica una specie di nucleo di verità dell’Essere Siciliano.
La Sicilia per la sua posizione è al centro di tre continenti, nel mediterraneo, un mare che già di per sé potremmo definire un pluriverso, un grande sistema geo-antropico che annovera popoli e genti diverse per lingua, usi e costumi, ma che hanno sempre interagito fra loro e spesso anche con tensioni laceranti, ma sempre accomunati da questo gran comune denominatore che è questo Mare nostrum come lo chiamavano i latini o Al-bahr al-abiad al-mutawassit come lo chiamano gli arabi, il mare bianco e ampio che abbraccia e che bagna allo stesso modo tutti i popoli che vi si affacciano unendoli tutti.
Nella nostra lingua siciliana quando si dice u mari jancu significa il mare piatto, per niente mosso, mare che ti può permettere una traversata anche lunga 12 ore come quella che fece Ibn al-Furat nell’827 proveniente da Sousse nell’odierna Tunisia e sbarcando a capo Granitola vicino Mazara inaugurando la conquista islamica dell’isola, proprio lui il condottiero che in realtà era originario del Khorasan in Persia, in quanto nativo di Nishapur, un professore di Diritto Malikita all’Università di Qairouan l’allora capitale dell’emirato abbaside. Durante queste incursioni gli islamici del Maghreb portavano con sé bottino e informazioni utili su questa terra di cui avevano individuato le profonde potenzialità produttive al punto da progettare, quando se ne verificarono le condizioni ottimali, una vera e propria spedizione di conquista.
Infatti le intenzioni dell’emirato abbaside furono quelle di programmare e progettare con sistematicità la conquista di “questo pezzo di Europa abitato dagli infedeli”, per stabilirvi un avamposto duraturo dell’Islam nel centro del mediterraneo. Ibn al-Furat non realizzò solo una conquista ma da professore di una dottrina giuridica quale quella Malikita progettò e realizzò (cosa che ovviamente avvenne nel tempo e cui lui non sopravvisse perché mori sotto le mura di Castrogiovanni l’odierna Enna), una vera e propria rivoluzione agricola o meglio sarebbe dire agraria (vd. Gli studi di Illuminato Peri in materia).
Dal punto di vista demografico la Sicilia contava all’epoca della conquista araba una popolazione che si doveva aggirare intorno alle 400.000/500.000 persone, la conquista fu abbastanza cruenta, così recitano le fonti, ad esempio vi fu l’assedio di Palermo una città minore per l’epoca di circa 20/25.000 abitanti che al momento dell’apertura delle porte dopo la resa agli assedianti islamici, la città contava appena 3000 anime, quindi è verosimile che perirono durante la conquista più di due terzi della popolazione siciliana dell’epoca ponendo così agli invasori davanti ad un serio problema di ripopolamento dell’isola.
Per ripopolare questa terra fertile e con così grandi potenzialità produttive venne deciso di assegnare un certo quantitativo di terra e tutti coloro che intendessero trasferirvisi provenienti dai territori dell’immensa Koinè islamica. In seguito a questa “chiamata” a spostarsi, in Sicilia emigrarono da tutti i territori del vasto impero islamico, circa 150.000/200.000 persone appartenenti a circa 59 etnie diverse (così come spiega Girolamo Caracausi nel suo libro Arabismi medievali di Sicilia, Palermo, 1983).Così vennero a stabilirsi in Sicilia 60 popoli provenienti da tutta la Koinè islamica, dal nord Africa, dal medio-oriente chi dall’Arabia, yemeniti, omaniti, chi dal Khorasan, chi dalla Persia chi dal Sudan chi dall’Afghanistan, chi dall’India persino chi apparteneva a popolazioni che abitavano le zone centrali dell’Asia (oggi coincidenti con i territori delle repubbliche asiatiche ex sovietiche) e dalle zone orientali dell’Asia, Indonesia, etc.
Questa composita migrazione, immaginate quale e quanta ricchezza genetica portò dal punto di vista proprio del mescolamento del sangue, e anche dal punto di visto dell’agricoltura, ad ognuna di queste famiglie fu affidato un pezzo di terra tale che poteva coltivare non solo per viverci ma anche per pagarci le tasse, la famosa Gizhia perché l’ordinamento giuridico malikita prevedeva poi un sistema di tassazione che permettesse allo stato centrale di prosperare e restò famoso questo sistema di tassazione e fu talmente efficace che cambiò in Sicilia il modo di vivere e di abitare, perché se è vero che la dinastia islamica abbaside e poi aglabide decise di spostare la capitale dei nuovi possedimenti dalla Sicilia orientale (Siracusa) alla Sicilia occidentale, a Mazara fu preferita Balarm, Palermo, la Panormus dei greci perché aveva un porto naturale migliore e poi perché si affacciava sul versante settentrionale dell’isola cioè sul tirreno; e così Palermo raggiunse presto nell’arco di circa tre generazione una popolazione (recitano le cronache dell’epoca vd. Ibn Hawkal viaggatore iracheno del IX secolo) di circa 150.000 abitanti terza nel mondo arabo dopo Cordoba e Baghdad stessa, ma cambiò proprio l’abitare in sensu lato, perché tutte le campagne furono abitate, e costellate da miriadi e miriadi di villaggi. I migranti islamici infatti occuparono e ricostruirono spesso i molteplici casali sorti all’interno dei latifondi prima latini e poi bizantini.
Paolo Valentini